Emanuele Riemma: “Il segreto del mio successo? Studio, passione e curiosità, senza mai dimenticare le radici della pizza napoletana”
L’autenticità della pizza napoletana a Cagliari, nella pizzeria Maiori, è firmata Emanuele Riemma. Con un approccio che combina tradizione e innovazione, il pizzaiolo campano si distingue per la cura minuziosa degli impasti, l’attenzione agli ingredienti di alta qualità e una filosofia che celebra la semplicità e l’eccellenza.
Recentemente, ha intrapreso un viaggio negli Stati Uniti per una consulenza che gli ha permesso di confrontarsi con il panorama internazionale, portando la sua esperienza e il suo stile unico oltre oceano. In questa intervista, ci racconterà il suo percorso, il metodo dietro le sue creazioni e i suoi progetti futuri.
Emanuele qual è stato il tuo percorso personale? Come è nato l’amore per la pizza e cosa ti ha portato da Maiori a Cagliari?
“Finita la mia carriera agonistica da sportivo, mi sono avvicinato al mondo della pizza per un annetto, poi sono partito per l’Australia per fare esperienza. A Sydney ho lavorato in pizzerie rinomate e aperto un locale con mio fratello, che vive lì da 30 anni. Tornato a Napoli, la curiosità per gli impasti e le tecniche di lavorazione mi ha portato a trasformare quello che fino ad ora, per me, era un semplice lavoro in una vera passione. È stato un percorso graduale, da Sydney a Napoli, fino a Cagliari, dove sono arrivato per una consulenza di un mese e, invece, eccomi ancora qui”.
C’è un maestro o una figura di riferimento nel mondo della pizza che ha ispirato il tuo stile?
“Ho imparato molto da tutte le esperienze che ho fatto, in ogni posto in cui ho lavorato c’è sempre stato qualcuno che mi ha lasciato qualcosa. La svolta è stata l’incontro con Raffaele Bonetta a Napoli. Mi considero, in un certo senso, un suo figlioccio, non perché sia un’affermazione di comodo, ma perché lo considero davvero un amico e un mentore. Abbiamo condiviso eventi e momenti professionali che per me sono stati molto formativi. Raffaele è stato la scintilla che ha acceso in me un approccio concettuale alla pizza e il suo stile e la sua filosofia hanno lasciato in me un segno profondo”.
Qual è il segreto del metodo Riemma?
“Il metodo Riemma è nato quasi per caso, frutto di una serie di eventi e circostanze particolari. Lavoravo a Pozzuoli, in un locale rinomato, proprio nel periodo in cui si svolgeva Tutto Pizza. In quel contesto, tra il lavoro e gli eventi, mi capitava spesso di sperimentare con gli impasti, utilizzando ciò che restava dalle prove e dagli esperimenti. È stato proprio in quel periodo di scambio di idee, di confronti e di sperimentazioni, soprattutto con persone come Raffaele Bonetta, che ho iniziato a riflettere in modo diverso sugli impasti non limitandomi a eseguire, ma cercando di capire il perché delle cose. Perché un impasto si comporta in un determinato modo, cosa succede al suo interno, cosa posso ottenere pensando fuori dagli schemi. Io non seguo ricette predefinite o formule standard, ma cerco di creare qualcosa di personale e unico, non necessariamente migliore, ma che rispecchi la mia visione. Il metodo Riemma è proprio questo: uno studio continuo, nato dalla curiosità, dagli esperimenti e dai confronti, che mi ha permesso di sviluppare un prodotto che oggi posso definire unico e strettamente legato al mio modo di vedere le cose”.
In cosa consiste tecnicamente il tuo metodo?
“Lavorare con una materia viva come l’impasto, significa affrontare quotidianamente molte variabili per cui ogni preparazione per me è unica. Il mio metodo si sviluppa in due fasi: un pre-fermento a bassa idratazione di 24 ore, che dona aromi e struttura, e la chiusura dello staglio, dove l’impasto prende forma definitiva. Il risultato è una pizza leggera, morbida e scioglievole, capace di offrire un’esperienza gastronomica unica”.
Qual è la tua pizza preferita? C’è una storia legata a questa scelta?
“La mia pizza preferita ha radici nei ricordi di quando praticavo Taekwondo. Durante le pause dalla dieta mangiavo il calzone col salame, la margherita o la bianca con prosciutto, rucola e parmigiano, pizze che gustavo con l’anima e, ancora oggi, preferisco le stesse. Una volta al mese, inoltre, mi concedo un momento speciale: mi siedo a tavola e mangio la mia pizza con calma, proprio come farebbe un cliente. È un modo per capire davvero la loro esperienza, osservando la pizza e il servizio con occhi nuovi. Cambiare prospettiva ti permette di notare dettagli che altrimenti sfuggirebbero, ed è fondamentale per migliorarsi continuamente”.
Cosa caratterizza una vera pizza campana? Come riesci a mantenere viva questa tradizione a Cagliari?
“Quando ho deciso di trasferirmi a Cagliari a 26 anni, ero sicuro del prodotto che stavo portando: volevo offrire una pizza napoletana autentica, senza compromessi. Ho portato con me l’esperienza, la tradizione e l’attenzione per i prodotti campani, perché sapevo che per distinguermi era fondamentale restare fedele alla mia identità. A Cagliari, la pizza napoletana aveva la fama di essere pesante e indigesta, complice un approccio spesso poco curato. Io, invece, ho puntato su un prodotto pulito, originale e adatto a tutti i palati, mantenendo un legame forte con le mie radici campane. Con il tempo, questa scelta si è rivelata vincente”.
Come bilanci le ricette della tradizione con il gusto moderno?
“Per me è fondamentale bilanciare tradizione e innovazione. Cerco sempre di restare fedele alle ricette con cui sono cresciuto, quelle della mia famiglia, ma allo stesso tempo mi piace aggiungere un tocco innovativo. Per esempio, anziché usare la zest di limone, preparo un gel al limone, cambiando la consistenza senza stravolgere il piatto. Anche se la tradizione è alla base del mio lavoro, vivo in un mondo che corre e si evolve, quindi è naturale sperimentare, soprattutto dopo aver viaggiato e visto diverse cucine. Tuttavia, cerco sempre di mantenere un profilo basso e gusti semplici, senza mai esagerare o stravolgere troppo le cose”.
Può raccontarci il tuo recente viaggio negli Stati Uniti? C’è qualcosa del mondo della pizza negli USA che ti ha colpito?
“Il viaggio negli Stati Uniti è stato organizzato con un amico chef siciliano con cui avevo lavorato a Sydney. Oggi lui è executive chef di un ristorante-pizzeria a New York, e ci siamo incontrati per una consulenza per riorganizzare il suo locale. La città è affascinante, con una storia che la rende unica, ma a livello di pizza non ho visto grandi novità. Quello che ho notato, in generale, è che negli Stati Uniti, così come in Australia, c’è una certa libertà nell’approcciarsi ai piatti, mescolando ingredienti in modi insoliti. Nonostante ciò, la pizza napoletana ha sempre un grande successo, anche a New York, dove ho lavorato per rimettere a posto il locale e dare una nuova forma alla sua proposta”.
Infine, come ti vedi nei prossimi anni? Ci sono nuovi progetti in arrivo?
“Attualmente non ho progetti concreti in arrivo. Tra qualche anno, come tutti i professionisti che amano il proprio lavoro, vorrei trovarmi con una pizzeria tutta mia, un progetto che possa riflettere tutta la mia esperienza e passione accumulata in questi dieci anni. Ma ora voglio continuare a crescere e a dedicarmi al lavoro che amo con entusiasmo”.